Vi presentiamo la traduzione dell'articolo Spocial Revolution: The Ultimate Frisbee - More than just a flying disc, pubblicato su The Alternative.
Spocial Revolution: L’Ultimate Frisbee – Più
di un disco volante
Lo
sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di unire le persone in un
modo in cui poche altre cose riescono a fare.
-
Nelson Mandela
Per
la prima volta nella mia vita mi sono fatta degli amici non perché mi è
successo di nascere nello stesso anno come loro, ma perché abbiamo visto tutti
la bellezza nelle stesse cose, persone che pensano di poter praticare uno sport
che la gente nemmeno conosce semplicemente perché lo amano, che fanno le cose
per passione e per se stessi.
Era
l'estate del 2012, avevo appena concluso l'esame di 12° grado (una specie di
maturità, in India, necessaria per poter accedere all'università, n.d.t.) e
come molti altri ragazzi della mia età passavo la giornate così: sveglia tardi,
colazione esagerata, ore di televisione o computer e fuori la sera, e Bangalore
essendo Bangalore, rendeva difficile trovare attività più divertenti
dell'uscire a bere.
A
scuola feci amicizia con un gruppo di ragazzi che arrivavano la mattina madidi
di sudore ma sembrava che questo non gli importasse, parlavano di "difesa
in tuffo", "spari" e "hammer". Mi dissero che non
avrei voluto saperne, parlavano di Ultimate Frisbee. All'inizio pensavo a che
razza di nome fosse “Ultimate”, nessun altro sport aveva un nome così ridicolo.
Immaginate l'Amazing Cricket, o il Fabulous Basket. E poi, frisbee? Tutto
quello che sapevo di frisbee era giocare con il mio cane o se proprio qualche lancio
con mio padre a Cubbon Park. Dicevo, non provate a raccontarmi che il frisbee è
uno sport! Il calcio è uno sport! Il frisbee? Stai scherzando...
Ma
loro non provarono a difenderlo. Avevano troppe conversazioni del genere con
troppe persone a cui era sconosciuto.
Una
mattina, mi successe di svegliarmi molto presto e non avere niente da fare,
così pensai di andare a fare una sorpresa ai miei amici che giocavano a
Kanteerava e portargli la colazione. Arrivai laggiù e vidi 25 ragazzi e
ragazze, tutti tra i 15 e i 35 anni, a "fare dei lanci".
Uno
dei miei amici mi vide e subito non capì la mia sorpresa. Pensò che fossi
andata lì per giocare. Prima che potessi dire qualcosa venni trascinata da uno
degli allenatori in seconda, Clifford. Dopo alcuni minuti stavo lanciando con
un'altra ragazza e stavo apprendendo le differenze tra dritto e rovescio, tra
piede perno e passi. Ma rimanevo scettica.
La
partita iniziò. Cinque ragazzi e due ragazze per squadra schierati sulle
rispettive linee di meta che all'improvviso si trasformarono in un mucchio di
persone che lanciavano un frisbee a caso tutt'intorno, sebbene in giocate
impegnative e mettendoci tutto quello che potevano.
Ma
poi capii che fintavano sui propri difensori, riuscivano ad anticipare chi li
marcava e scattavano attraverso il campo non in un caos disordinato ma seguendo
strategie pianificate. Saltavano alti e compivano prese spettacolari, facevano
lanci che coprivano mezzo campo con una precisione sorprendente mentre i loro
compagni allungavano il passo per ricevere in meta. E’ stata una dimostrazione
così affascinante di atleticità che non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Due
cose mi colpirono.
Era
la prima volta che vedevo maschi e femmine giocare insieme nella stessa
squadra. Specialmente in India, i ragazzi praticano tutti gli sport, le
ragazze, se sono fortunate, possono avere una loro divisione, come nel Basket o
nel Throw ball. Da nessun’altra parte puoi vedere una squadra
"mista", giocare equamente e seguendo le stesse regole, portando
completamente una nuova esperienza in termini di qualità di gioco ma, più
importante, giocando insieme. La parità dei sessi ne ha avuto un grande
guadagno e questo mi ha elettrizzato.
La
seconda cosa era il fatto che fosse auto-arbitrato. I giocatori chiamavano da
soli le violazioni o i falli. Se la persona a cui era stata fatta la chiamata
non era d'accordo poteva "contestare" e il gioco riprendeva da dove
si era interrotto prima che il fallo o la violazione fossero chiamati.
Non
è che le regole si fanno mentre si gioca, l'Ultimate ha un chiaro e preciso
regolamento. E' solo che ti impegni da solo a rispettare le regole, e tutti si
fidano, senza bisogno di una terza parte che curi questo aspetto. I giocatori
lo chiamano Spirit Of The Game (Spirito del Gioco), ed è la più perfetta
dimostrazione di sportività che io abbia mai visto.
Cose
così però possono spesso risultare controproducenti: se dici alle persone di
multare se stesse quando guidano senza casco la reazione è solo quella che si
mettano a ridere. Ma l’Ultimate mi ha colpito perché esiste una fiducia
implicita in ogni giocatore nel mantenere l'integrità della propria squadra.
Fare chiamate giuste porta a te e alla tua squadra molto più rispetto che
segnare un punto slealmente alla prima occasione. E questo è un sentimento che
si nota in ogni singolo allenamento, partita o torneo.
Una
cosa come questa è ciò che mi ha fatto tornare anche all'allenamento successivo
e anche a tutti gli altri. Presto sarò anche io una fanatica di frisbee che non
potrà smettere di parlare sdolcinatamente di questo sport!
In
pochi mesi mi sentivo vicina a quelle 25 persone conosciute a caso a Kanteerava
come ci si sente vicini ad amici che si conoscono da anni. I miei amici ora
sono architetti e designer, psicologi, marinai, amministratori delegati delle
più grandi compagnie indiane, agricoltori part-time o hacker, e i loro visi
sono spesso la ragione per la quale mi spingo fuori dal letto nelle fredde
mattine d'inverno e corro al campo.
Loro
non sono solo un gruppo di persone intelligenti e sportive, sono anche alcune
delle migliori che abbia mai incontrato. Il capitano della squadra di Chennai,
Boon Lay, attraverso l'Ultimate incentiva i ragazzi a frequentare la scuola: si
tratta spesso di studenti di prima generazione, che provengono da ambienti
svantaggiati e hanno bisogno di incentivi per andare a scuola e fare bene. Ma
sono pazzi dell'Ultimate Frisbee e adorano "Boon Maama". La squadra
controlla i loro risultati scolastici e i ragazzi lavorano davvero sodo, perché
sanno che se studiano bene Boon Maama insegnerà loro un nuovo tiro o un nuovo
schema. E i loro genitori non si preoccupano più che finiscano nei casini da
qualche parte. Più studiano e meglio riusciranno nell'Ultimate e maggiori
saranno le chance per loro di entrare nella squadra di Boon.
Recentemente
nel Campionato Nazionale Femminile di Bangalore l'intera comunità dell'Ultimate
si è mossa per sponsorizzare le ragazze di Pudiyador, una ONG (organizzazione
non governativa, n.d.t.) sostenuta da un pilastro dell'Ultimate indiano,
Manickam Narayanan, venuta da Chennai per giocare. Queste ragazze non
potrebbero mai avere nessuna possibilità di uscire dalle loro condizioni e
interagire con persone nuove in una città nuova, ma l'Ultimate in questo le ha
aiutate. Le ha messe di fronte al mondo come è necessario che sia perché
possano poi camminare sulle proprie gambe, e ha dato loro la libertà e
l'opportunità di farlo attraverso qualcosa che amano.
Questo
è il tipo di amore che unisce i giocatori di Ultimate in tutto il mondo, è quel
cameratismo istantaneo che sprizza dalla condivisione di qualcosa di speciale
come portare ragazzi svantaggiati e studenti stranieri sullo stesso campo e
fare in modo che si lascino salutandosi come migliori amici, bevendo insieme
dopo un allenamento massacrante, sapendo di aver trovato qualcosa di
bellissimo.
Questo
è il perché io gioco. Non solo per lo sport in sé, ma anche per le incredibili
esperienze che faccio mentre lo pratico - ai tornei in tutto il paese incontro
molte persone interessanti che mi aiutano a migliorare ed io, nel mio piccolo,
faccio la mia parte. Ma anche perché la sensazione che mi dà giocare è
imbattibile. E più aumenta il numero di persone che scoprono questa gioia più
questa gioia si diffonde.
Questa
storia fa parte della serie Spocial Revolution, una collaborazione con
SportKeeda per dare risalto agli sport in quanto strumenti verso il cambiamento
sociale e le voci delle comunità sportive sugli sport come scelte nella
sostenibilità.
Sushmita
Azad
Traduzione Luca F.